Decreti Salvini atto terzo: come ti reprimo il dissenso
di Giacomo Biancofiore
Abbiamo mostrato più volte e in svariati modi la correlazione tra la crisi climatica e l’immigrazione. Secondo l’Internal Displacement Monitoring Centre (Idmc), negli ultimi 15 anni i disastri naturali sono stati la causa principale della maggior parte degli sfollamenti interni. Solo nel 2021 sono stati registrati 23,7 milioni di nuovi sfollati per cause ambientali, contro i 14,3 milioni prodotti dai conflitti. E le previsioni sono tutt’altro che rosee. Infatti, secondo la Banca mondiale, entro il 2050 i migranti ambientali potrebbero arrivare a 220 milioni di persone.
C’è però un altro legame che tiene insieme i due temi ed è il cosiddetto Decreto sicurezza bis, ossia il decreto legge 53/2019, varato dal governo M5s-Lega nell’agosto del 2019 e convertito, con modificazioni, nella Legge 8.8.2019, n. 77.
Inasprimento della repressione
Pubblicato con il titolo Disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica, il decreto, voluto e promosso dall’allora ministro dell’interno Salvini e condiviso da Conte (famosa è la foto dei due con il cartello in mano) e il M5s – decreto non cancellato, ma solo ritoccato, dal governo Conte bis, governo sostenuto anche da Sinistra italiana - nasconde un mucchio di norme assai eterogenee tra loro sotto il generico tema della «sicurezza».
Tra queste le principali riguardano: il nuovo potere attribuito al Ministro dell’interno (di concerto con quello della difesa e delle infrastrutture e trasporti, previa informazione al Presidente del Consiglio dei ministri) di vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale (art. 1), e le sanzioni amministrative previste per il caso d’inottemperanza a tale divieto (art. 2); le modifiche alla L.152/1975 (la cosiddetta «Legge Reale») e al codice penale concernenti inasprimenti sanzionatori per illeciti commessi in occasione di manifestazioni pubbliche (artt. 6 e 7); e le misure straordinarie per eliminare l’arretrato relativo all’esecuzione di condanne penali definitive (art. 8).
In buona sostanza la nuova disciplina ha introdotto nel sistema un esplicito elemento di «criminalizzazione» delle attività di ricerca e soccorso compiute dalle organizzazioni indipendenti nonché un approccio repressivo rispetto alle manifestazioni. Il tutto calando la mano pesante sul codice penale.
Già al momento della sua introduzione, varie associazioni ed esperti in materie giuridiche ne misero in evidenza le criticità, in particolare fu segnalato l’utilizzo della tecnica legislativa della decretazione di urgenza, che comporta una violazione delle regole costituzionali allorquando il testo di legge riguardi temi tra loro eterogenei e il generico riferimento alla «sicurezza» non contribuisce a conferire omogeneità.
L’arresto dei tre attivisti per il clima di Ultima Generazione
Il 2 gennaio scorso, alcuni attivisti di Ultima Generazione (una campagna di disobbedienza civile nonviolenta nata in Italia 2021) hanno lanciato della vernice lavabile sulla facciata di Palazzo Madama, sede del Senato. Si è trattato di un’azione di protesta contro gli investimenti pubblici in combustibili fossili e, più in generale, verso la mancata presa di coscienza delle istituzioni sul tema del cambiamento climatico. Al termine dell’iniziativa sono stati arrestati tre attivisti per danneggiamento aggravato.
L’arresto e l’inasprimento delle pene per i militanti di Ultima Generazione trovano origine proprio nel Decreto sicurezza bis in cui la manifestazione diventa un’aggravante generale per reati contro pubblici ufficiali, per cui le pene vengono aumentate e sono introdotti inasprimenti delle pene per singoli reati, tra cui anche il delitto di danneggiamento, che in questo caso è quello attribuito agli attivisti di Ultima Generazione.
In dettaglio sebbene l’articolo 635 del codice penale («chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui con violenza alla persona o con minaccia è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni») faccia esplicito riferimento all’uso della violenza alla persona, la medesima pena si applica per il danneggiamento di edifici pubblici o situati nei centri storici, ed è questo il caso di Palazzo Madama, la sede istituzionale del Senato.
Sicché gli attivisti vengono incriminati per danneggiamento, pur in assenza di violenza o minaccia, per via dell’importanza dell’edificio colpito.
In assenza del decreto Salvini i tre attivisti non sarebbero stati arrestati, perché questo ha aggiunto che, se il reato è compiuto «in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico», la pena non è più da sei mesi a tre anni, bensì da uno a cinque anni di reclusione.
L’arresto in flagranza di reato è possibile nel caso il delitto sia sufficientemente grave, tale gravità è commisurata dall’articolo 381 del codice di procedura penale, sulla base dei delitti non colposi per cui sia prevista una pena superiore nel massimo a tre anni, per questo il danneggiamento compiuto a Palazzo Madama «giustifica» l’arresto dei tre attivisti.
L’impennata della repressione
I Decreti Salvini rappresentano un ulteriore strumento concreto per reprimere e intimidire, al punto che manifestare pubblicamente diventa un'aggravante che si traduce nella facoltà di arresto e nell’innalzamento del potere di chi gestisce l'ordine pubblico, quindi del Viminale e dal Governo.
Per chiarire meglio cosa sia il rischio di soffocamento del dissenso riportiamo le parole dell’avvocato Gilberto Pagani, difensore di un altro militante di Ultima Generazione per cui la questura di Pavia ha chiesto l’applicazione di misure di sorveglianza speciale (le stesse previste dal Codice antimafia): «i militanti di Ultima Generazione conducono azioni di protesta in modo assolutamente pacifico, volte a sbloccare l’inazione politica che impedisce la prevenzione di gravi conseguenze dovute al collasso eco-climatico. Si tratta di azione diretta per sottrarre la cittadinanza dall’inazione dei pochi al potere. Tutto ciò è il contrario del rappresentare un pericolo per la sicurezza e l’incolumità pubbliche. Assimilare questi cittadini a mafiosi, terroristi e malavitosi è un insulto all’intelligenza, alla verità e alla decenza. Questa proposta di misura di prevenzione è un atto eminentemente politico, che proviene direttamente da una Questura, cioè dal ministero degli Interni e dal Governo. Agendo in tal modo questi organismi pubblici manifestano quanto stia loro a cuore la salvaguardia dell’ambiente e il futuro dell’umanità. Siamo oltre la criminalizzazione del dissenso: qui è in gioco non soltanto il diritto di esprimere le proprie opinioni ma la sopravvivenza dell’umanità sul nostro pianeta».
Il nuovo decreto immigrazione
Figlio ancora più «deformato» del Decreto sicurezza bis, in tema di immigrazione, è il nuovo decreto legge n.1 del 2 gennaio 2023 con cui il governo Meloni ha previsto un nuovo assetto giuridico per le Ong che trasportano i migranti nel nostro territorio nazionale.
Con questo provvedimento il governo Meloni, in continuità con quello Lega-M5s, dietro l’apparente contrasto dell’immigrazione clandestina, sta provando ad attuare una ulteriore stretta sulle Ong. Il nuovo decreto sicurezza, infatti, rappresenta l’ennesimo tentativo di ostacolare e criminalizzare il ruolo degli attivisti e in generale della solidarietà.
Come per i passati Decreti sicurezza, poco importa al legislatore che il provvedimento si ponga in evidente contrasto con le convenzioni internazionali in materia (in particolare quella di Ginevra, di Amburgo e quella di Dublino). Il capitalismo se ne infischia della libertà e della vita
Nel ripercorrere i vari provvedimenti (di tutti i precedenti governi) che portano a quest’ultimo pacchetto di misure elaborato dal ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi, è evidente la scarsa o nulla considerazione che questo modello economico capitalista ha per le sue stesse regole e convenzioni internazionali.
Uno dei principi essenziali della Convenzione di Ginevra, per esempio, è il principio di non respingimento (non-refoulement): una persona che chiede protezione non può essere in nessun caso respinta verso luoghi dove la sua libertà e la sua vita sarebbero minacciati.
L’importanza del divieto di rinviare un rifugiato verso un luogo a rischio di persecuzione è ribadito dal fatto che l’art. 33 della Convenzione di Ginevra non può essere sottoposto ad alcuna riserva, come stabilito dall’art. 42 della stessa.
Il principio di non refoulement non si applica solo ai rifugiati riconosciuti, ma anche a quei richiedenti asilo che siano in attesa della decisione finale sul loro status e che quindi potrebbero essere riconosciuti rifugiati. E ciò perché il riconoscimento dello status di rifugiato ha natura dichiarativa e non costitutiva.
La stessa Costituzione italiana, sulla carta, dovrebbe garantire il diritto d’asilo allo «straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana». E ancora più ipocrita in questo modello criminale è l’art. 3 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo che recita «Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona».
Come si evince da quello che succede nel mondo il valore assoluto al diritto alla vita che si identifica con la persona umana non ha alcun significato nel sistema capitalista. Solo un governo di e per la classe operaia potrà mettere al primo posto il diritto alla vita e la produzione senza sacrificare l’ambiente attraverso una società organizzata per il bene di molti e non per il profitto di pochi.