La crisi di governo
FINISCE TRA GLI SPUTI LA
"GRANDE SVOLTA RIFORMATRICE"
Rifondazione pronta ad
accordi anche con Berlusconi
Tra sputi, schiaffi e
corruzione, il governo Prodi è infine caduto, in mancanza dei voti di vari
gruppi dell'Unione (Mastella, Dini) e col voto contrario del senatore di
Sinistra Critica che si è infine deciso, dopo due anni di sostegno altalenante
al governo, a non garantire la fiducia: certo stavolta (a differenza di altre),
visto lo scarto di voti, la scelta di Turigliatto era ininfluente sulle sorti
del governo: ma è stata comunque una scelta giusta e lodevole, anche se
tardiva.
UNA CRISI DI GOVERNO
NEL "POLLAIO DELLA
DEMOCRAZIA BORGHESE"
Gli interessi dei padroni e quelli dei
lavoratori
Sui motivi della crisi
del governo borghese non c'è molto da aggiungere a quanto abbiamo scritto nella
Dichiarazione formulata nei giorni scorsi e riportata qui sotto.
In questo testo, scritto
subito prima della caduta del governo al Senato, sono già analizzati i
possibili sviluppi della situazione. I partiti borghesi e i quattro partiti
socialdemocratici della "cosa rossa", tutti divisi al loro interno e
in scontro tra loro, stanno in queste ore cercando una soluzione che faccia
ricadere i costi della crisi ancora una volta sui lavoratori.
In prima fila in questo
sforzo è il gruppo dirigente di Rifondazione Comunista che, davanti al palese
fallimento dei suoi presunti tentativi di "condizionare" il governo
della borghesia, non solo non cambia strada ma persiste e rilancia, fino a
dichiararsi disponibile a sostenere insieme a Berlusconi un cosiddetto
"governo di transizione" che porti a nuove elezioni in cui la
socialdemocrazia unita, alleata col Pd di Veltroni, spera di avere qualche
possibilità di vincere per tornare al governo insieme alla borghesia e contro i
lavoratori. Anche stavolta tutto ciò viene fatto in nome di una "grande
svolta riformatrice", come quella finita ieri tra gli sputi dei senatori.
La vera svolta che serve
è invece una svolta di opposizione di classe, per costruire nelle lotte l'unica
soluzione realistica alla crisi: una soluzione operaia. Ed è in questa
prospettiva che i militanti di Alternativa Comunista continueranno a battersi.
dichiarazione del Comitato
Centrale del PdAC
1. Dopo quasi due anni di attacchi senza precedenti ai
lavoratori, ai giovani, ai disoccupati, agli immigrati, il governo Prodi è
arrivato forse alla conclusione del suo percorso. La causa della fine di questo
governo è tutta interna allo scontro intestino tra gruppi politici, settori e
apparati dello Stato borghese (magistrati e parlamentari), uno scontro tra
briganti alimentato dal mancato accordo attorno a un diverso meccanismo
elettorale capace di garantire, in modo più efficace, la stabilità parlamentare
delle coalizioni di alternanza borghese.
L'incriminazione del ministro della Giustizia Mastella, e di tutta la sua
famiglia parentale e politica (scintilla che ha portato all'attuale esplosione),
porta alla luce, per l'ennesima volta, l'intreccio inestricabile tra affari
leciti e illeciti in un sistema sociale -il capitalismo- per sua natura basato
sullo sfruttamento del lavoro salariato e sulla corruzione che fiorisce negli
apparati politici e statali destinati a gestire i profitti della borghesia.
Questa crisi politica si colloca nello scenario della crisi finanziaria mondiale
e nel quadro più generale della putrescenza di questo sistema che per aumentare
i profitti di un pugno di persone continua a produrre massacri tanto nelle
fabbriche come sui fronti delle guerre coloniali.
2. Varie sono le ipotesi di conclusione di questa crisi:
l'acquisto di qualche senatore a sostegno del governo, nella usuale
compravendita parlamentare; un governo tecnico o istituzionale per formulare una
nuova e ancor più truffaldina legge elettorale; nuove elezioni entro pochi mesi.
La conclusione dipenderà dalla risultante dello scontro in atto in quel
parlamento cui si addice oggi più che mai la definizione coniata da Rosa
Luxemburg di "pollaio della democrazia borghese".
Nessuna di queste conclusioni è vantaggiosa per i lavoratori.
Il perdurare di questo governo consentirebbe a Prodi di portare a compimento
quelle misure di guerra sociale e di guerra militare (tra poco verrà votato il
rifinanziamento delle missioni militari) che l'imperialismo italiano detta al
governo. Un governo di transizione proseguirebbe in queste politiche e
servirebbe solo per approntare nuovi meccanismi elettorali per garantire al
prossimo governo borghese una più solida base parlamentare per evitare incidenti
di percorso e potersi concentrare meglio nel suo lavoro anti-operaio. Nuove
elezioni porterebbero alla vittoria di uno dei due poli dell'alternanza borghese
e alla costituzione di un esecutivo che, a prescindere da chi lo diriga,
raccoglierebbe il "testimone" da Prodi e svilupperebbe le politiche richieste
dalla Confindustria per far pagare la crisi economica del capitalismo ai
lavoratori.
3. In questo quadro, risultano grottesche le dichiarazioni
dei dirigenti di Rifondazione Comunista. Dopo aver votato e sostenuto ogni
misura anti-popolare di Prodi -persino i provvedimenti razzisti e la caccia agli
immigrati- i dirigenti di Rifondazione hanno dichiarato oggi che sarebbe
l'interruzione prematura della legislatura a impedire quella "grande
redistribuzione sociale" che da due anni annunciano come "imminente" per far
ingoiare ai lavoratori i sacrifici. Giordano ha anche aggiunto che la possibile
caduta di Prodi sarebbe dovuta al complotto di presunti settori "retrivi" della
borghesia, spaventati dall'influenza esercitata da Rifondazione su questo
governo.
La realtà è ben diversa: la borghesia, i suoi settori principali,
non hanno congiurato contro il governo e anzi oggi in coro tutta la grande
stampa borghese (da Repubblica al Corriere della Sera, dalla
Stampa al Sole 24 Ore) definiscono "irresponsabile" la mossa
di Mastella. La grande borghesia ha sostenuto fin dall'inizio questo governo
perché sapeva che avrebbe potuto sviluppare un violentissimo attacco ai
lavoratori senza produrre una adeguata reazione sociale, grazie al ruolo di
cuscinetto svolto dalle burocrazie sindacali (Cgil in testa) e dalle burocrazie
socialdemocratiche (Prc, Sd, Pdci, Verdi). Ciò che preferisce oggi la grande
borghesia non è dunque un ritorno di Berlusconi (a cui pure si adeguerebbe, se
necessario, come ha fatto negli anni passati) ma piuttosto una minor litigiosità
nel pollaio parlamentare (ottenuta attraverso una legge elettorale differente)
e, se possibile, il rilancio di questa stessa formula di governo, eventualmente
con una nuova coalizione tra il neonato Partito Democratico di Veltroni e il
futuro partito socialdemocratico alla cui fondazione lavorano i quattro partiti
de La Sinistra - l'Arcobaleno. Ogni governo va bene alla Confindustria purché
sia capace di tutelare i profitti delle aziende: e la formula del centrosinistra
si è rivelata sinora la più efficace in tal senso, dunque è quella preferibile
nel gioco dell'alternanza tra i due poli che, in ogni caso, garantisce alla
borghesia di vincere comunque, come un giocatore di roulette che
puntasse contemporaneamente sul rosso e sul nero, sul pari e sul dispari.
4. I fatti di questi mesi e gli sviluppi di questi giorni
confermano la lezione dell'intera storia del movimento operaio che abbiamo
ripreso e sostenuto fin dalla nascita della nostra organizzazione da una
scissione di Rifondazione nell'aprile 2006 (uscimmo mentre altri dirigenti di
quel partito si preparavano alla spartizione delle poltrone): non c'è governo
amico dei lavoratori nel capitalismo, non c'è possibilità di "condizionare" i
governi della borghesia, il ruolo dei comunisti è sviluppare l'opposizione a
ognuno di questi governi per preparare i rapporti di forza necessari a
rovesciare questo sistema sociale e i suoi governi e aprire la strada a un
governo degli operai per gli operai. E' una strada lunga e difficile ma, come si
vede, non ci sono scorciatoie. Per questo oggi ribadiamo che nessuna delle
soluzioni che può uscire dal pollaio del parlamentarismo borghese può soddisfare
le esigenze, anche immediate, delle masse popolari. Il baricentro dello scontro
non è tra le poltrone vellutate di Mastella, Dini e D'Alema: il baricentro è
nella lotta di classe nelle piazze e nei luoghi di lavoro, nella ripresa della
conflittualità operaia che è stata soffocata in questi due anni (con un calo
storico delle ore di sciopero) per l'assenza di un grande sindacato di classe e
di un partito comunista con influenza di massa.
Occorre dunque ripartire dalle lotte e dalle esperienze già
in atto di opposizione di classe al governo, per costruire un grande sindacato
conflittuale e non concertativo e un partito comunista rivoluzionario. Occorre
unire i lavoratori, i precari, i disoccupati, i lavoratori immigrati, attorno a
una piattaforma rivendicativa che rovesci tutte le politiche sociali e militari
dei governi di centrodestra e centrosinistra che si sono alternati in questi
anni. E, su queste basi, costruire anche, laddove sia possibile, una
rappresentanza del mondo del lavoro nelle istituzioni borghesi, da utilizzare
come tribuna delle lotte. Quella tribuna che finora è mancata non solo per la
responsabilità delle burocrazie socialdemocratiche ma anche per le oscillazioni
di quelle organizzazioni come Sinistra Critica di Turigliatto (che si definisce
non a caso "tendenzialmente all'opposizione") o come le minoranze del Prc che,
con i loro parlamentari, hanno fino ad oggi sostenuto le principali misure del
governo o non si sono spinte oltre una logica di astensioni, non partecipazioni
al voto, o, al più, oltre qualche raro voto contrario (ma solo quando era
ininfluente nell'aritmetica parlamentare).
5. Il baricentro della lotta di classe è fuori dal parlamento
e dai suoi scontri interni, è nello sviluppo delle mobilitazioni dei lavoratori.
Quanto alle elezioni, quasi sicuramente anticipate (o alla prossima primavera o,
nel caso di governi di transizione, a quella successiva), costituiranno, in
questo quadro, un momento secondario ma comunque possibile di battaglia dei
comunisti. Come PdAC siamo disponibili, nell'autonomia del nostro progetto
rivoluzionario complessivo, alla costituzione di blocchi elettorali con tutte le
forze che si collocheranno strategicamente fuori dai due poli dell'alternanza
borghese e saranno pronte a costruire una ferma e reale opposizione di classe
alla borghesia nei luoghi di lavoro, nelle piazze e anche in parlamento.
Roma, 25 gennaio 2008