Il lavoro notturno, piaga invalidante e letale
di Diego Bossi (operaio Pirelli, turnista a ciclo continuo)
Sebbene il lavoro notturno sia pratica che ha origini fin nell’antichità, fu la rivoluzione industriale a introdurre le turnazioni al chiar di luna anche per quei lavori che non necessitavano di uno svolgimento durante la notte.
Dapprima nelle fabbriche inglesi del XVIII e XIX secolo, dove i turni si estendevano fino alla notte nei settori tessili e metallurgici, poi al XX secolo, passando per i picchi dell’industria bellica durante il fascismo, fino ad arrivare ai giorni nostri, dove ovunque, in molti i settori, il lavoro notturno è una realtà consolidata nel comparto industriale, non sono mancate le lotte operaie contro questa piaga disumana e disumanizzante.
Inizialmente le prime limitazioni al lavoro notturno vertevano sull’esclusione di donne e minori (che erano comunque sottopagati rispetto alla manodopera adulta maschile), lasciando ai capitalisti piena libertà di sfruttamento agli uomini adulti; oggi la legislazione prevede, bontà loro, che non si possano superare, in media, 8 ore per il turno di notte. Curioso il concetto di «media»: se nell’arco temporale di riferimento si svolgono alcuni turni al di sotto delle 8 ore, si possono fare a compensazione i restanti turni notturni di 10 o 12 ore?
Ci vengono poi in soccorso le definizioni del classico orario lavorativo «d’ufficio», quello che va dalle 8 alle 17, per intenderci; bene, questo orario viene chiamato in due modi: «normale» o «centrale». Il primo termine, già di per sé, sottintende l’«anormalità» insita in altre turnazioni, ma è il secondo termine, se vogliamo, a restituirci l’assurdità del lavoro notturno, poiché la «centralità» si colloca fra due turni, il primo e il secondo, che sono tutt’altro che piacevoli e che estendono all’ennesima potenza la giornata lavorativa: la giornata, appunto; poiché la notte nemmeno è contemplata nel concetto di «centrale».
La realtà è che 365 volte l’anno, la porzione di terra che abitiamo volta le spalle al Sole, e questo non genera solo effetti legati alla variazione di luce, ma gode di una vera e propria relazione col nostro organismo: sfidarla impatta drasticamente sulla nostra salute fisica e psichica, nonché sulla nostra socialità. Di qui muoverà i primi passi questo articolo, per meglio comprendere quali possono essere le prospettive e le nostre rivendicazioni sindacali nei luoghi di lavoro.
Gli effetti del lavoro notturno sulla salute
I rischi per la salute legati al lavoro notturno sono ben documentati da numerosi studi scientifici, soprattutto negli ultimi decenni. Lavorare di notte, infatti, altera profondamente il ritmo circadiano (l’orologio biologico umano) con conseguenze su sonno, metabolismo, ormoni e sistema cardiovascolare.
Per fare una rapida carrellata sugli effetti del lavoro notturno, senza la pretesa di fornire al lettore un quadro esaustivo, possiamo individuare almeno 7 ambiti di nocività sulla pelle di lavoratrici e lavoratori: 1) disturbi del sonno, come insonnia cronica o sonno frammentato e insufficiente; 2) alterazioni cognitive e psicologiche, tra queste ansia, depressione, perdita di concentrazione, irritabilità; 3) malattie cardiovascolari, poiché lo stato di allerta cronico mantiene elevati i livelli di cortisolo e adrenalina, aumentando significativamente i rischi di aritmia, ipertensione, infarto e ictus; 4) Disturbi metabolici e diabete, perché il metabolismo segue il ritmo circadiano (buio/luce) rallentando durante le ore notturne, causando ai lavoratori che svolgono il turno di notte problemi di digestione, accumulo di grassi e zuccheri (colesterolo e glicemia alte), obesità addominale e diabete tipo 2; 5) maggiore rischio di tumori, in particolare al seno e alla prostata, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha classificato il lavoro notturno come “probabilmente cancerogeno” (classe 2A), la causa principale è l’alterazione della produzione di melatonina, un ormone protettivo che viene secreto solo di notte e al buio; 6) effetti sulla salute riproduttiva delle donne, come irregolarità mestruali, aumento del rischio di aborti spontanei e parti prematuri, difficoltà nel concepimento; 7) incidenti sul lavoro e infortuni, perché i livelli di concentrazione e vigilanza diminuiscono notevolmente.
Vi è poi tutta una serie di problematiche legate alla socialità, che si traducono nei già citati effetti sulla salute, quali ansia e depressione. Durante i giorni — se così possiamo chiamarli — di lavoro notturno, i lavoratori sono soggetti a un senso di estraniazione e inadeguatezza che impatta e compromette la loro capacità sociale, spesso si trovano a dover svolgere incombenze familiari e domestiche durante le ore diurne che dovrebbero essere dedicate al riposo (situazione che grava soprattutto sulle lavoratrici), col risultato che dormono poco e male, si innervosiscono, aumentando la loro scontrosità, i litigi e le discussioni nei contesti familiari e amicali. Al termine di giornate così difficili nemmeno c’è la possibilità di sanare i contrasti e riposarsi, poiché si viene risucchiati nel vortice di un nuovo turno notturno, col risultato che la percezione dei problemi viene decuplicata.
Il lavoro notturno crea un disagio che si estende anche ai familiari e alle dinamiche di gestione delle famiglie, alcuni studi stimano che aumenti del 10-15% il rischio di separazione e divorzi, mettendo a dura prova la stabilità delle coppie. Bisogna avere sempre molto chiaro il quadro degli effetti del lavoro notturno sui lavoratori e non dimenticarlo mai, perché è su quel quadro che deve svilupparsi un corretto intervento sindacale nei luoghi di lavoro.
«La notte si lavora meglio» e altri falsi miti
Capita, non di rado, che alcuni lavoratori si mostrino contenti del lavoro notturno, lasciandosi ad esternazioni tipo: «Il turno di notte è il mio preferito, farei solo quello»‚ oppure: «di notte si sta bene, non c’è nessuno che rompe…». Questo fenomeno di promozione del proprio girone infernale non va sottovalutato ed è importante analizzarlo.
Distinguiamo l’effetto reale dalla percezione. In metafora potremmo dire che bere del buon vino può dare una sensazione di euforia percepita come piacevole, ma questa percezione non cambierà di una sola virgola gli effetti negativi dell’alcol sulla nostra salute. Allo stesso modo la narrazione positiva del lavoro notturno si basa su elementi reali come un clima di lavoro più tranquillo rispetto al caos diurno oppure all’assenza di traffico nelle strade; ma gli effetti di cui sopra continueranno ad esistere e a reiterarsi.
Un altro aspetto è quello economico: il turno di notte gode di una maggiorazione retributiva, quindi lavorare di notte «piace» perché è più remunerativo, ma in realtà a piacere è la maggiorazione economica, non il turno di notte in sé: a parità di salario quanti sarebbero felici di uscire di casa dopo cena per andare a lavorare fino al mattino seguente?
Da ultimo, ma non per importanza, c’è un aspetto psicologico arcinoto, che per ragioni di sintesi non potremo approfondire qui ma, tanto per intenderci, potremmo definire come una sorta di falsa narrazione auto-ingannevole, un meccanismo di autodifesa che da una parte ha lo scopo di autoconvincimento di vivere una situazione migliore di quella che in realtà si vive e dall’altra alimenta il livello di autostima e di affermazione sociale in una società come la nostra, che vede il lavoro come il più importante degli elementi identitari: sei il lavoro che fai, il ruolo che svolgi. E questo è uno dei grossi mali della società capitalista.
La monetizzazione del disagio
La politica di monetizzazione della salute e delle condizioni più disagevoli è un asso nella manica che il padronato usa per massimizzare lo sfruttamento e normalizzare, tramite accordi sindacali, condizioni lavorative assai penalizzanti.
Da un punto di vista strettamente sindacale la maggiorazione notturna trova il suo senso nell’ambito delle politiche salariali: pago di più il turno di notte perché questo arreca dei gravi danni alla salute e peggiora la qualità di vita. Ma da un punto di vista di classe questo non corrisponde agli interessi dei lavoratori, poiché la salute è e dev’essere preminente rispetto al vil denaro che il capitalista investe per aumentare il suo profitto.
Questa stortura logica deriva da una visione economicista e strettamente sindacale e porta a diverse conseguenze negative per i lavoratori.
La prima è che i lavoratori, con fatica e sacrificio, si adattano e plasmano la loro vita sulla base del loro salario, ma il turno di notte non è una costante fissa e immutabile, ma un'esigenza del padrone sulla base delle richieste di mercato: oggi la turnazione notturna serve, domani potrebbe non servire più, e il passaggio da turnista a normalista costa, al lavoratore, centinaia di euro. Per non parlare di quando questo passaggio è utilizzato dal padrone come strumento ricattatorio per gli operai dissidenti e sindacalizzati.
Un altro aspetto è che spesso i lavoratori rincorrono (e rivendicano) il lavoro notturno come strumento di aumento salariale, sostituendolo alle lotte e agli scioperi per il loro potere d’acquisto, allo stesso modo di quanti ricorrono al lavoro straordinario per ottenere un salario dignitoso.
La risultante è che il lavoro notturno, stillicidio invalidante financo letale, non solo non dovrebbe mai essere rivendicato, ma dovrebbe essere abolito quale piaga disumana. Ovviamente sono necessarie alcune distinzioni: esistono mansioni che per ragioni di utilità pubblica e di necessità sociale, non possono mai fermarsi: sanità pubblica, trasporti, impianti di produzione energetica ecc. Per questi lavoratori e solo per questi è necessario rivendicare le più ampie tutele e limitazioni al lavoro notturno, implementabili solo associando tale richiesta con la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario e nuove assunzioni: in un sistema produttivo razionale, cioè socialista.
Nel capitalismo nessuna via d’uscita
Va detto che di per sé l’abolizione o il forte ridimensionamento del lavoro notturno non sono conquiste incompatibili col capitalismo, ma concretamente potrebbero essere raggiunte parzialmente solo in fasi di ascesa della lotta di classe su scala nazionale e internazionale. Del resto è la stessa storia del Movimento operaio ad averci insegnato che i padroni, messi alla strette dalle lotte e dagli scioperi generali e generalizzati della classe operaia, si vedono costretti a fare concessioni. Ma nel sistema socio economico capitalista le classi dominanti saranno sempre pronte a riprendersi quanto, sotto la pressione delle lotte operaie, sono state costrette a concedere. Per questo l’unica soluzione al cancro del lavoro notturno è l’abolizione del capitalismo.
A oltre due secoli e mezzo dalla rivoluzione industriale, la storia ci consegna una mole imponente di avvenimenti su scala globale che alla prova dei fatti hanno dimostrato che il riformismo ha fallito; che la politica di quanti hanno voluto entrare nei governi borghesi per via elettorale o hanno optato per la via dell’appoggio critico ed esterno si sia rilevata letteralmente catastrofica per la classe operaia: si pensi alla sola esperienza italiana coi governi cosiddetti «progressisti» a guida Ulivo e Pd, sostenuti da partiti riformisti come Rifondazione comunista, Leu, Sinistra italiana ecc, governi che si sono intestati le peggiori leggi antioperaie della storia repubblicana. Ricordiamo che il primo provvedimento legislativo disciplinante il lavoro notturno e a ciclo continuo è il decreto legislativo 532/99, spedito in Gazzetta ufficiale dal governo del «compagno» D’Alema, con l’appoggio dei Comunisti italiani.
Vale la pena citare ampiamente le parole, attuali, de Il Manifesto del Partito Comunista, scritto da Marx ed Engels nel 1848: «Una parte della borghesia conta di rimediare alle ingiustizie sociali per garantire l'esistenza della società borghese. È il caso di economisti, filantropi, umanitari, miglioratori della condizione delle classi lavoratrici, benefattori, protettori degli animali, promotori di associazioni di temperanza, riformatori di ogni risma e colore. E questo socialismo borghese è stato elaborato in interi sistemi. (...) I socialisti borghesi vogliono le condizioni di esistenza della società moderna ma senza le lotte e i pericoli che pure ne sono necessaria conseguenza. Vogliono la società attuale ma senza gli elementi intesi a rivoluzionarla ed eliminarla. Vogliono la borghesia senza il proletariato. La borghesia si rappresenta il mondo in cui domina come il migliore dei mondi possibili. Il socialismo borghese elabora questa rappresentazione consolatoria sotto forma di un mezzo o di un intero sistema. Quando esorta il proletariato a realizzare i suoi sistemi per irrompere nella nuova Gerusalemme, in fondo non fa che pretendere dal proletariato di restare confitto nella società attuale rinunciando però alle odiose idee che se ne è fatto. (...) Il socialismo borghese corrisponde al suo proprio carattere solo quando diventa pura figura retorica. "Libero commercio!" nell'interesse della classe lavoratrice; "dazi protettivi!" nell'interesse della classe lavoratrice; "carcere cellulare!" nell'interesse della classe operaia: questa è l'ultima parola, l'unica detta sul serio, del socialismo borghese. Il loro socialismo consiste appunto nella tesi che i borghesi sono borghesi nell'interesse della classe operaia».
Il partito rivoluzionario e il programma di classe
Solo all’interno di un’economia socialista, pianificata sulla base del soddisfacimento sociale e libera dall’anarchia produttiva improntata al profitto dei padroni e alla loro sfrenata accumulazione di capitale, sarà possibile abolire definitivamente il lavoro notturno e implementare delle rigidissime limitazioni ove quest’ultimo sia realmente necessario alla società (ad es. sanità e trasporti). Saranno gli organismi di democrazia operaia a controllare e a vigilare che non vi siano abusi, poiché le fabbriche stesse saranno nazionalizzate sotto il controllo dei lavoratori.
Nessuna classe dominante sarà disposta a concedere il dominio su richiesta in carta bollata, i padroni difenderanno con le unghie e con i denti il loro potere: la «rivoluzione pacifica» è un ossimoro inventato dai dirigenti riformisti e funzionale al loro progetto di parassitare lo Stato borghese.
Sono necessari due elementi dialetticamente complementari: un programma di classe indipendente dalla borghesia e dal suo Stato e un partito d’avanguardia, rivoluzionario e internazionale, costruito sulle lotte quotidiane e in grado di guidare le masse a strappare il potere dalle mani sporche di sangue di una minoranza di capitalisti che stanno portando l’umanità all’estinzione. E siccome, per dirla con Lenin nel Che fare?, «senza teoria rivoluzionaria non vi può essere movimento rivoluzionario», spiegando che la teoria rivoluzionaria può essere portata nelle lotte solo dal partito, ci rivolgiamo ai tanti quadri operai, già attivi nelle lotte, per richiamare la loro l’attenzione sull’importanza di impegnarsi politicamente oltreché sindacalmente, contribuendo alla costruzione del partito necessario a liberare i lavoratori dalla morsa del Capitale, con il suo portato di miseria e torture (lavoro notturno compreso).
Il capitalismo non è sempre esistito, né sarà eterno, ma il socialismo non è inevitabile: senza una direzione rivoluzionaria (leggi partito) che interviene nella lotta di classe e contro i tradimenti riformisti, saremo destinati alla barbarie crescente del capitalismo in putrefazione. Concetto meglio espresso da Marx, ed è così che chiudiamo questo articolo, ricorrendo alle parole che aprono Il Manifesto del Partito Comunista: «La storia di ogni società esistita fino a questo momento è la storia di lotte di classe. Libero e schiavo, patrizio e plebeo, barone e servo della gleba, mastro artigiano e garzone, per farla breve oppressori e oppressi si sono sempre trovati in contrasto tra loro, hanno condotto uno scontro incessante, talvolta nascosto e talvolta palese; uno scontro che si è sempre concluso con un mutamento rivoluzionario dell’intera società o con la rovina comune delle classi che combattevano».