Partito di Alternativa Comunista

Parità di genere: cresce la disoccupazione femminile e diminuiscono i salari delle donne

Parità di genere:

cresce la disoccupazione femminile e diminuiscono i salari delle donne

 

 

 

di Laura Sguazzabia

 

 

«Bilancio di genere, fallita la prova della parità, ripartiamo dal Pnrr»: così titola l’articolo dedicato da Alleypop (pagina online de IlSole24ore) il 19 gennaio scorso alla presentazione del Bilancio di genere 2022 da parte della sottosegretaria al Mef, Cecilia Guerra. Il documento ricostruisce la situazione delle donne italiane, analizzando settore per settore l’impatto «particolarmente negativo» della crisi economica e pandemica dell’anno appena trascorso.

 

Un altro anno terribile per le donne

Secondo le statistiche ufficiali, la maggior parte di chi ha perso il posto di lavoro nel 2021 è donna. Per la prima volta, dopo 7 anni di incrementi, il tasso di occupazione femminile è sceso al 49%: oltre la metà delle donne non lavora, il 18,2% in meno degli uomini. Moltissime, avendo contratti a tempo determinato, non hanno nemmeno potuto usufruire degli ammortizzatori sociali. Il dato peggiore è quello delle donne giovani, tra i 15 e i 34 anni (solo il 33,5% di esse ha un'occupazione). Per le altre, comunque, il lavoro è all'insegna della precarietà e della discontinuità: quasi la metà di tutti i contratti di lavoro femminili è part time (per gli uomini il dato scende al 26,6%) e, nella maggior parte dei casi non si tratta di una scelta. Inoltre, le donne che hanno conservato il proprio lavoro, hanno visto ridotta, in alcuni casi drasticamente, la propria retribuzione per il ricorso massiccio alla cassa integrazione o ai congedi parentali per l’assistenza a figli, malati o invalidi. Basti osservare ad esempio che i congedi parentali, durante il periodo pandemico, sono stati utilizzati per il 72% dalle madri e solo per il 21% dai padri. Oltre a perdere la propria indipendenza economica, e spesso la possibilità stessa di mantenere sé stesse e i propri figli, le donne hanno subito un ulteriore sovraccarico all’abituale lavoro domestico: la gestione della didattica a distanza, la sostituzione dei servizi di assistenza, la pulizia accurata della casa per evitare maggiori rischi di contagio, il contenimento psicologico dei membri della famiglia sono compiti che hanno assorbito le donne in forma totalizzante. L'idea che i compiti domestici e di cura siano propri delle donne, e che questa sarebbe la loro funzione principale in questa società, continua ad essere accettata: non è un caso che la maggior parte dei lavori a cui le donne accedono siano collegati a questo (insegnanti, infermiere, operatrici sanitarie, addette alle pulizie, ecc). Le misure di isolamento sociale, inevitabili in un periodo pandemico, la mancanza di indipendenza economica, indispensabile in questo sistema, l’inconsistenza di politiche contro la violenza, hanno fatto aumentare femminicidi, stupri e altre forme di violenza con cifre che superano di gran lunga quelle degli anni precedenti.
Certamente, le donne proletarie italiane non avevano bisogno di attendere la lettura del Bilancio di genere 2022 per sapere quanto il peso dell’emergenza economica, sanitaria e ambientale causata da questo sistema e accelerata dalla pandemia mondiale di Covid-19, si sia scaricata soprattutto sulle loro spalle rendendo così ancora una volta evidenti le difficoltà sociali ed economiche contro cui lottano ogni giorno normalmente. Rispetto a tutto questo, cosa è stato fatto? Poco o nulla. Dalla relazione sul Bilancio di genere 2022 emerge che le spese destinate a ridurre il divario di genere costituiscono solo lo 0,56% del totale, mentre soltanto il 13,60% è costituito da spese sensibili al genere. Il sistema capitalista impietosamente non si è posto nessuno di questi problemi, ha continuato a preoccuparsi unicamente del proprio profitto, combattendo le proprie battaglie per evitare chiusure o anticipare riaperture di tutte le attività lavorative, per spremere fino all’ultima goccia del sudore dei lavoratori e, a costo della loro stessa vita, per continuare a riempire le tasche dei padroni. 

 

Il Pnrr: la panacea di tutti i mali

Adesso però che la fotografia è stata scattata e la realtà è impietosamente visibile agli occhi di tutti, occorre affrontare «la sfida», come è stata istituzionalmente definita, della parità di genere, dell’inserimento delle donne nel mercato del lavoro, del doppio carico, ecc. Ed ecco che il tanto decantato Pnrr corre in soccorso, sebbene nel corso del documento di Bilancio non sia specificato né l’ammontare dei finanziamenti né in quali ambiti saranno impegnati: sarà compito della Finanziaria 2024 stabilirlo! Nel frattempo nel Bilancio di genere 2022 ci viene comunicato che occorre un approccio sistemico al problema che possa produrre «un cambiamento radicale» nell’organizzazione della società, un cambiamento che parta dal «riconoscimento dell’uguaglianza di genere quale elemento strutturale per il benessere collettivo». E qui il documento propone di superare le politiche di genere frammentate e occasionali, compie una classificazione delle spese differenziandole in «neutrali», «sensibili» e «dirette a ridurre le diseguaglianze di genere» e, per farlo, utilizza 128 indicatori (il tutto ovviamente per evitare la frammentazione). Dopo questa serie di affermazioni, il lettore del documento ha ormai maturato la certezza che chi ha steso il Bilancio di genere 2022 non ha la più pallida idea di cosa fare, che i finanziamenti del Pnrr non saranno utilizzati, se non in quantità irrisoria, per risolvere la questione dell’oppressione femminile, che si tratta insomma dell’ennesima manovra di Palazzo per offuscare gli sguardi e far credere che il problema è all’analisi e quasi alla soluzione.

 

L’unica soluzione è la rivoluzione!

Ci pare ovvio che la soluzione istituzionale sia impraticabile: in altre occasioni, abbiamo denunciato l'atteggiamento indifferente da parte di tutti i governi, o dei politici borghesi (molti dei quali coinvolti persino in scandali di violenza e molestie) nel proteggere i diritti di donne e ragazze, atteggiamento che non può essere visto come una semplice superficialità. La loro mancanza di volontà politica e la loro connivenza hanno a che fare con il fatto che il capitalismo beneficia della violenza e dell'oppressione per dividere i lavoratori e sottometterli ancora più al servizio dello sfruttamento di tutta la classe e del super-sfruttamento di interi settori di essa, come le donne. Come ci ha dimostrato in questi anni di pandemia, il capitalismo ha altri interessi da tutelare e nessun governo si farà carico dei nostri problemi: il maschilismo, così come il razzismo o l’omobitransfobia, è un’arma importante per il capitalismo che, per questo, non ha nessuna intenzione di privarsene. Le donne proletarie in ogni angolo del pianeta non sono state in silenzio e, in questi anni più che mai, sono state alla testa di importanti mobilitazioni: occorre continuare, per difendere i diritti che tanta parte del movimento femminista ed operaio ci hanno garantito non tanto e non solo in quanto donne, ma soprattutto in quanto proletarie, oppresse e sfruttate. In questa lotta noi chiamiamo alla partecipazione gli uomini della classe lavoratrice perché con la loro azione esprimano solidarietà alla nostra condizione e perché solo con l’unione delle nostre lotte sarà possibile sconfiggere l’oppressione e lo sfruttamento. Non lasciamo che il maschilismo, l’omobitransfobia, il razzismo, le manovre di assestamento e di austerità che scaricano la crisi economica mondiale sulle spalle dei lavoratori, dei giovani senza lavoro, e soprattutto dei settori maggiormente oppressi come le donne, dividano la classe per incrementarne lo sfruttamento e per favorire l’arricchimento di pochi a danno di molti. Dobbiamo scendere in piazza e lottare per un mondo senza pandemia, senza maschilismo e senza capitalismo. Vogliamo fare una rivoluzione socialista che conquisti un mondo dove essere veramente liberi.

 

 

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